Comunico ergo sum
Cartesio mi perdonerà per aver modificato la sua citazione, ma la comunicazione si configura come attività centrale nella vita di ogni essere umano, così come il pensiero.
Durante l’attività clinica appare sempre più chiaramente che l’abilità tecnica non basta ad essere un bravo professionista. Perché se il paziente, dal più piccolo al più grande, fa dei passi avanti, ma tu, professionista, non lo sai comunicare, lui, forse, così come chi gli sta accanto, non se ne renderà conto. O ancora, se dall’altra parte la persona è in difficoltà e non avete un canale comunicativo efficace, quell’ora di terapia non sarà altro che tempo sprecato.
Ma quali sono gli elementi che ci possono aiutare a comunicare efficacemente in un ambiente riabilitativo, ma anche in tutti gli altri contesti?
- L’empatia, tanto nominata ma meno spesso praticata: comprendere emotivamente e cognitivamente lo stato emotivo altrui, modificare il proprio (amato) punto di vista e vedere un po’ più in là. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi. Ma se non capiamo e, sopratutto, sentiamo emotivamente i bisogni dell’altro, come possiamo aiutarlo?
- Imparare a porre attenzione al contesto: ogni volta che entriamo in relazione con l’Altro entriamo in relazione anche con quel tutto che lo circonda. È sempre necessario porre attenzione a quello che sta accadendo al singolo utente, quello che accade intorno a lui e quello che sta accadendo tra l’operatore e il suo contesto relazionale. È quest’ultimo, infatti, che fuori dalla stanza di terapia permetterà all’utente di mettere a frutto ciò che impara, aiutandolo a tirare fuori tutte le sue risorse. D’altronde una comunicazione senza contesto perde di senso, così come fare terapia con la persona, senza considerare il tutto che lo circonda.
-Saper ascoltare: porre attenzione non solo alle parole, ma soprattuto a ciò che non viene comunicato, osservando ad esempio la postura, il tono di voce, lo sguardo, dando anche giusto spazio al silenzio (ansia, tristezza, imbarazzo, riflessione?).
-Porre le giuste distanze: un mio professore ci parlava sempre dell’immagine del riccio, che pur stando accanto ad un altro, riesce comunque a rimanere nel suo spazio, senza essere invaso; ciò può essere difficile nell’interazione con un altro, in particolare in una situazione di sofferenza. Ma proprio mantenere la giusta distanza può aiutarci ad aiutare. Rimanere lucidi, senza farci investire dalla sofferenza dell’altro; proprio come il riccio, vicino, ma non troppo.
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